Resilienza: parola incontrata, sentita e ripetuta più volte durante l’ultimo anno. E come immaginare che saremmo stati travolti da una pandemia mondiale?
In genere sono notizie che si leggono o si sentono ma che avvengono in Paesi così lontani dalla nostra comoda e sicura società occidentale che rimangono così, nei nostri occhi, nelle nostre orecchie per qualche minuto e poi si passa oltre, oppure avvenimenti accaduti tanti e tanti anni fa che figurati se possiamo ricordarcene se non leggendone distrattamente nei libri di storia o negli scritti di Alessandro Manzoni.
Eppure è così. Conviviamo con una pandemia che ha un nome e che in qualche modo ci ha costretto a rivedere le nostre priorità.
Ed è accaduto che nei periodi di “lockdown duro” molti di noi hanno sviluppato il proprio modo di essere resilienti. Pensiamo ai bambini e alle bambine, agli insegnanti, a coloro che hanno perso il lavoro, A coloro che si sono ritrovati a dover gestire lo smartworking, le videocall per molti realtà così lontane dal nostro quotidiano.
Anche in passato la resilienza esisteva nel reale ma non era rappresentata nel mondo verbale. Se pensiamo ai nostri nonni, bisnonni, che hanno vissuto anche due guerre mondiali, le distruzioni e ricostruzioni, la fame, la mancanza di lavoro e di sicurezza, difficilmente possiamo dire che sapessero cosa fosse la resilienza, la praticavano e basta. Tutti soffrivano, qualcuno riusciva a riprendersi, a proteggersi dalla sofferenza senza che nessuno cercasse di comprendere come avessero fatto.
Questo atteggiamento di fronte alla sofferenza ci ha portato ad un modo di pensare caratteristico: chi gode di buona salute, ha solide basi economiche, buona cultura può ritenersi fortunato ed ha tutte le carte in regola per svilupparsi positivamente, chi invece deve procurarsi il cibo ogni giorno, non accede al sistema scolastico, non ha una famiglia che lo sostiene è destinato a vivere una vita disgraziata.
Eppure anche chi ha avuto una “vita disgraziata” è riuscito a cavarsela, ad affermarsi, a raggiungere i propri obiettivi. Certo non così semplicemente come altri, ma c’è riuscito. Chiaro che la sofferenza ed il trauma ci sono stati ma è riuscito ad andare oltre. E come ha fatto?
Sicuramente ha attinto alle proprie risorse interne, anche in situazioni estreme. La parola resilienza esiste nel campo della fisica e designa la capacità di un metallo di riprendere la propria forma dopo aver ricevuto un colpo non abbastanza forte da provocarne la rottura. Usando una metafora: “la persona ferita nell’anima, può ritornare alla vita”.
Senza voler entrare nel merito di “scale” di importanza di traumi che ognuno di noi può aver incontrato nella nostra vita, l’esempio più lampante è la realtà in cui viviamo oggigiorno.
“Piccoli Passi di Counseling ETS” è un’associazione nata da un atto di resilienza, di coraggio se così vogliamo considerarlo. E’ nata da pensieri, emozioni, condivisioni, comunanze in un periodo molto difficile che ci ha costretto a rivedere, a riconsiderare tutto ciò che ci eravamo prefigurate.
Abbiamo ricevuto un colpo ma non ci siamo spezzate se così vogliamo dire. Anzi ,la crisi ha fatto nascere questa associazione e, adattandoci ad una nuova situazione, ad una nuova realtà abbiamo potuto crescere, personalmente e professionalmente, ed abbiamo potuto incontrare persone ed arricchire la nostra rete.
Abbiamo incontrato ed incontriamo ancora, emozioni nutrienti, scambi arricchenti, anche in questo periodo di parziale isolamento. Il nostro atto di resilienza è stato quello di cogliere le nuove opportunità anche dalla crisi. Creare collegamenti:, riflettere su temi importanti: ieri sera nello schermo del nostro PC c’erano persone collegate dalla Lombardia, dal Veneto, dalla Sicilia ed i sorrisi ed il calore sono arrivati anche attraverso lo schermo.
Ciò che provo in questo momento è un profondo senso di gratitudine per le mie colleghe e per tutte le persone che hanno creduto in noi e che hanno deciso di far parte di questa associazione. Un immenso grazie!.
Giuseppina Lanfredi, Counselor Professionista